La Storia

Anni di crisi: Carlo Clausetti e Renzo Valcarenghi. Dal 1919 al 1943

Dopo l’uscita di Tito II dall’azienda, la gestione della casa editrice viene assunta da Renzo Valcarenghi e Carlo Clausetti, che dal 1919 al 1940 ne guidano insieme le sorti. Clausetti viene da una famiglia di editori napoletani e dal 1892 è direttore della filiale Ricordi di Napoli. Come Giulio Ricordi, anch’egli è un tipo estremamente versatile, lavora come compositore, critico musicale, poeta e librettista, e con la moglie Margherita intrattiene un salotto musicale frequentato da Mascagni, Puccini, Giordano, Tosti e molti altri artisti dell’epoca. Appassionato musicologo, scrive tra l’altro dei saggi su Tristano e Isotta e Il crepuscolo degli dei di Wagner. Come Tito II, Clausetti si interessa di regia, compare, infatti, come “direttore di scena” in diversi allestimenti de La fanciulla del West di Puccini, non venendo però mai meno al suo ruolo di gerente.

Renzo Valcarenghi era entrato nella ditta nel 1880 e dal 1888 al 1912 aveva diretto la filiale Ricordi di Palermo, passando poi a quella di Napoli. Nel 1919 si trasferisce a Milano per assumere, accanto a Clausetti, la direzione di Casa Ricordi in qualità di direttore amministrativo. Abita nella sede della ditta e, con i suoi modi tranquilli e improntati a una lealtà incondizionata nei confronti dell’azienda, gestisce l’inquieto periodo di transizione. Per molti anni è presidente dell’Associazione Italiana degli Editori e Negozianti di Musica e della SIDE (Società Incassi Diritti Editoriali).

È questa, sotto vari profili, un’epoca di grandi cambiamenti. L’era della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, teorizzata da Walter Benjamin, si è definitivamente affermata, le modalità della ricezione musicale subiscono una radicale trasformazione. La prassi della musica domestica a livello amatoriale sembra diminuire di pari passo con la possibilità di fruire della musica attraverso la radio e i dischi, ma questo è solo un aspetto del fenomeno. Questo contesto si traduce per l’editore in una minore domanda di trascrizioni per pianoforte e di singoli brani musicali ricavati dalle partiture (arie, duetti), nonché di edizioni per piccoli ensemble. Dato che, accanto al noleggio delle musiche, la stampa delle riduzioni pianistiche rappresenta uno dei pilastri portanti dell’azienda, questo mutamento ha importanti conseguenze per Casa Ricordi.

Per quanto riguarda il tema di Ricordi durante il periodo fascista (1922–1943), è utile esaminare il materiale conservato nell’Archivio Storico, come ad esempio la corrispondenza e i cataloghi editoriali che precedono il 1931 (le annate successive di questi ultimi non esistono più). Il rapporto di Casa Ricordi con il regime fascista si sostanzia nella partecipazione ai comitati di settore (Renzo Valcarenghi rappresenta le case editrici nel Consiglio della Corporazione dello Spettacolo), nell’accettazione delle imposizioni della censura e nell’umanamente ancor più grave stigmatizzazione degli autori ebrei, dopo l’introduzione delle leggi razziali d’ispirazione nazionalsocialista, varate in Italia nel 1938. Grazie alla sua collaborazione, Casa Ricordi può assicurarsi il mantenimento dei proventi che le derivano dal noleggio di materiale musicale e dall’incasso dei diritti d’autore.
Malgrado questa cooperazione legata apparentemente solo ad aspetti formali, l’atteggiamento dei membri di Casa Ricordi nei confronti del fascismo è contrassegnato da una profonda ambivalenza. Aldo Valcarenghi, il figlio di Renzo, partecipa ad esempio a un’azione in difesa di Arturo Toscanini, dopo il famoso “schiaffo” nel maggio del 1931. Toscanini era stato assalito e malmenato da alcuni fascisti perché si era rifiutato di aprire un concerto a Bologna con l’inno fascista Giovinezza. Alcuni studenti presero le sue parti distribuendo dei volantini in sua difesa. D’altro canto, nel 1938 il giovane Pietro Clausetti mette in musica alcuni passi di un discorso di Mussolini e li porge al Duce con il titolo di Inno all’Impero. Questo “omaggio” non viene tuttavia accolto benevolmente, poiché fa concorrenza all’Inno imperiale, il cui testo è stato scritto da Achille Starace, il segretario del partito fascista. Quest’ultimo fa ritirare dal commercio tutte le copie dell’inno di Clausetti in circolazione a Roma.

La lettura della corrispondenza aziendale, i copialettere di quegli anni, potrebbe fornire ulteriori delucidazioni sui rapporti di Casa Ricordi con il regime fascista: nel complesso si mira ad ottenere, tramite alcune concessioni, una certa autonomia e libertà di azione.
Un ulteriore cambiamento riguarda la situazione dei teatri, e quindi anche i loro rapporti con la casa editrice. I teatri sono diventati enti autonomi e in era fascista vengono progressivamente assoggettati alle disposizioni del relativo ministero, il Ministero per la Stampa e la Propaganda. A partire dal 1923 la Scala è sì al primo posto tra i teatri sovvenzionati dal regime, ma l’interesse dei finanziatori è rivolto al teatro come strumento di propaganda ed educazione conforme all’ideologia fascista.

Lo sviluppo dell’estetica musicale in Italia risente di questo condizionamento esterno, in primis la funzionalizzazione di tutti gli spettacoli alla propaganda di una “italianità intesa adesso in senso fascista”. Se da un lato ci sono tendenze neoclassiche e neoromantiche che guardano nostalgicamente al passato (soprattutto nella musica strumentale), dall’altro è attiva un’avanguardia musicale che agisce su due fronti. Dal movimento futurista si sviluppa una corrente che propugna un’estetica fondata su musica e tecnica, musica e rumore (ad esempio la riproduzione dello spazio acustico della città o di una fabbrica); un piccolo gruppo di autori si rifà invece all’estetica dell’avanguardia viennese, e la riformula orientandosi al primato italiano della melodia. I teatri si arenano tra censura e voglia di innovazione e, adottando una politica di acquiescenza in attesa di tempi migliori, mandano in scena i classici dell’opera lirica e alcune produzioni moderatamente moderne.
Casa Ricordi si adatta, bene o male, alle circostanze. La popolare “Giovane Scuola”, di cui Mascagni è l’esponente principale, viene pubblicata dal concorrente Sonzogno, e un “successore” di Puccini non è ancora apparso all’orizzonte. Accanto a Italo Montemezzi e Franco Alfano, i cataloghi Ricordi degli anni Venti elencano i lavori di altri rappresentanti della generazione “dell’Ottanta”, nonché di compositori in seguito soggetti alle persecuzioni razziali, come Erich Wolfgang Korngold, Mario Castelnuovo-Tedesco, Aldo Finzi. La collaborazione con la Scala diventa difficile ma Casa Ricordi riesce a mantenere una certa influenza. Tra il 1921 e il 1928 Arturo Toscanini è il direttore musicale della Scala e ne impronta il programma, benché anche lui sia ovviamente costretto a lottare con la crescente ingerenza e i dettami ideologici del regime. Accanto al repertorio classico troviamo in cartellone – per quanto concerne Ricordi – Boito con Mefistofele e Nerone; Catalani con La Wally; Franchetti con Cristoforo Colombo e Germania (libretti di Illica); Pizzetti con Debora e Jaele; Alfano con La leggenda di Sakuntala; Casella con Le couvent sur l’eau (Commedia coreografica); Zandonai con I cavalieri di Ekebù e Francesca da Rimini (su soggetto di D’Annunzio); Wolf-Ferrari con Le donne curiose e Sly; Montemezzi con L’amore dei tre re; un’azione coreografica dal titolo Vecchia Milano di Giuseppe Adami (musica di Franco Vittadini); Respighi con La campana sommersa (su soggetto di Gerhart Hauptmann). In repertorio compare diverse volte anche Wagner con L’anello del Nibelungo, I Maestri cantori di Norimberga, Lohengrin e Tristano e Isotta, oltre a vari lavori di Strauss (Il Cavaliere della Rosa, Salomè) e Humperdinck. Nel campo della “musica antica”, Casa Ricordi riesce ad imporsi con un’edizione delle opere di Antonio Vivaldi a cura di Gian Francesco Malipiero, e si attiva a favore di una rappresentazione dell’Orfeo di Claudio Monteverdi nell’adattamento di Giacomo Benvenuti.

Le tensioni tra Casa Ricordi e la Scala si acuiscono quando il teatro nomina un direttore fedele al regime, Jenner Mataloni. I vertici della casa editrice entrano ripetutamente in conflitto con lui, per questioni concernenti i proventi degli spettacoli, ma che riguardano anche le condizioni di produzione: ad esempio il fatto che i rappresentanti della casa editrice non possano più assistere alle prove, fino ad arrivare al concreto impedimento di determinate produzioni. Mainardi cita il caso dell’opera La bisbetica domata (da Shakespeare) di Mario Persico, di cui Casa Ricordi prepara la rappresentazione per la stagione 1937/1938, ma che fallisce a causa dell’intervento di Mataloni. La città morta di Korngold va in scena per iniziativa di Ricordi nella stagione 1938/1939, peraltro non a Milano, bensì al Teatro dell’Opera di Roma.

Nello stesso periodo, nell’era Valcarenghi-Clausetti la rete internazionale di Casa Ricordi viene consolidata e sviluppata con successo: oltreoceano nascono diverse filiali (nel 1924 a Buenos Aires, diretta da Guido Valcarenghi, un figlio di Renzo; nel 1927 a San Paolo, diretta da Giuseppe Giacompol), e il volume d’affari della ditta aumenta con l’acquisto dei cataloghi di altre case editrici sudamericane. Nel 1940 il catalogo Ricordi conta 125.000 edizioni. Nell’azienda milanese lavorano 260 operai suddivisi in 8 reparti, ogni anno vengono stampate oltre 6 milioni di pagine.

Un’altra importante attività della casa editrice è rappresentata in quegli anni dalla pubblicazione di una collana di saggi musicologici in sei volumi, le Istituzioni e Monumenti dell’Arte Musicale Italiana, realizzata dal 1931 al 1939 prima sotto la direzione di Gaetano Cesari e, alla morte di questi, da Guido Pannain. La collana è dedicata alla musica del Cinquecento: Andrea e Giovanni Gabrieli, Camerata Fiorentina e Claudio Monteverdi, Carlo Gesualdo e altri autori. Mainardi la definisce “uno dei primi significativi prodotti della musicologia italiana”. Si tratta di un campo inedito per la casa editrice che in questo modo si fa strada nella disciplina scientifica della musicologia, allora ai suoi esordi in Italia. Considerando il successo riscosso dalla Gazzetta Musicale e dai successivi periodici – tra cui Musica d’Oggi a partire dal 1919 – si tratta di un’iniziativa coerente con la politica editoriale dell’azienda.

Nel 1940 Carlo Clausetti lascia la ditta e viene sostituito da Alfredo Colombo. Il binomio Renzo Valcarenghi / Colombo dura quattro anni. Nel bombardamento di Milano del 13 agosto 1943, gli uffici, le officine e i magazzini di Casa Ricordi subiscono pesantissimi danni: due bombe colpiscono la sede della casa editrice in Via Berchet, altre cadono sugli edifici di Viale Campania provocando un incendio. Parti dell’archivio vanno distrutte. Fortunatamente, a partire dal 1942, i materiali di maggior valore dell’archivio erano già stati messi al sicuro: gli autografi nel ricovero antiaereo della Cassa di Risparmio e nel Conservatorio di Parma, ma anche nelle case dei direttori sul lago Maggiore, sul lago di Como e nella provincia di Varese. Delle partiture stampate si fanno dei duplicati, che vengono messi in salvo come copie originali. Irrimediabilmente distrutte dal bombardamento sono però la biblioteca e gran parte del materiale musicale destinato al noleggio, tra cui anche alcuni esemplari con annotazioni individuali autografe. La conseguenza è che i lavori di alcuni compositori, la cui ricostruzione dopo la guerra appare troppo cara (o addirittura impossibile), cadono nell’oblio. Le partiture e le lettere, la collezione di libretti e anche l’archivio iconografico sono risparmiati. Valcarenghi tuttavia, sconvolto da questa perdita dopo tanti anni di crisi, nel 1944 rassegna le dimissioni. A questo punto viene istituito un direttivo composto da tre persone che assicura la continuità della conduzione familiare dell’azienda, anche se ovviamente non più limitata alla sola famiglia Ricordi: si tratta di Alfredo Colombo, Eugenio Clausetti (un altro figlio di Carlo) e Camillo Ricordi (il figlio di Manolo Ricordi). Questo trio si dedica alla ricostruzione dell’archivio e al rilancio dell’impresa.