La Storia

L’Affabile: Tito I Ricordi. Dal 1853 al 1888

Tito I (1811–1888), che fin dal 1825 lavora attivamente nella ditta, alla morte del padre Giovanni nel 1853 ne assume la direzione. Si dice che fosse un uomo di carattere mite e di salute cagionevole. Il suo matrimonio con Giuseppina Arosio fu rallegrato da nove bambini. Tito era disegnatore, incisore, tipografo e pianista di talento. I suoi frequenti viaggi all’estero lo misero in contatto con famosi esponenti della scena musicale europea, che egli invitava a Milano a tenere concerti; tra gli altri Franz Liszt, con il quale si racconta che suonasse a quattro mani. Nel 1863 Tito fonda la “Società del Quartetto”, tuttora esistente, per incentivare la diffusione della musica da camera a Milano.

Sotto la direzione di Tito I, viene potenziata la rete di filiali in Italia e in Europa: i fratelli Pietro e Lorenzo Clausetti sono suoi partner a Napoli, Stefano Jouhaud, che lavora per la Ricordi già dal 1824, a Firenze. Quando nel 1871 la capitale del nuovo Regno d’Italia viene trasferita da Firenze a Roma, anche la filiale di Ricordi la segue. L’intuito politico e il patriottismo di Tito I Ricordi emergono già nell’annuncio pubblicato nella Gazzetta del 30 giugno 1861, in cui egli dichiara di aver allestito delle filiali nel “Regno d’Italia”. Ne vengono aperte altre a Londra (1878), Palermo e Parigi (1888). Nel 1875 esce un nuovo catalogo, che contiene 45 000 edizioni. In una lettera al suo corrispondente londinese, Tito I scrive con orgoglio: “Dando una scorsa a questo Catalogo si può già comprendere che si tratta del più grande Stabilimento musicale che esista.” In questo periodo caratterizzato da una crisi economica a livello europeo, Tito I pare prendere in considerazione l’idea di vendere la ditta e ne fa stimare il valore. Come proprio guadagno annuale indica un ammontare di oltre 100 000 lire, il valore dell’impresa si aggira invece sui due milioni. La vendita però non ha luogo, vengono invece studiate nuove strategie per ampliarne il campo di azione.

Un tema importante dall’inizio del XIX secolo è quello dei diritti d’autore, ai cui specifici problemi di introduzione nel settore musicale la casa editrice Ricordi si dedica con particolare impegno.

In Italia fiorisce il commercio di copie pirata, a tutto danno degli autori, nonché la prassi corrente dei teatri di adattare di volta in volta la musica all’allestimento e agli interpreti del momento. Tutto ciò si scontra con l’interesse di Ricordi, la cui attività principale è rappresentata dal noleggio delle partiture.

Casa Ricordi intrattiene buoni rapporti con i propri autori e ne tutela strenuamente i diritti; per questo motivo, nel 1847 Giuseppe Verdi interrompe la prassi di affidare le proprie opere agli impresari teatrali e conferisce all’editore Ricordi il ruolo esclusivo di mediatore. Già ai tempi di Giovanni Ricordi si erano verificati diversi casi di pirateria: con la Semiramide di Rossini nel 1823 e La sonnambula di Bellini nel 1831 c’erano state delle perdite, sia sotto il profilo economico che della qualità artistica della produzione. Giovanni riflette sulle possibilità di evitare il ripetersi di simili situazioni. In mancanza di una regolamentazione legale, dapprima intravvede una possibile soluzione nella stipula di un contratto ben definito con l’autore, più tardi attraverso il pubblico avviso sulla Gazzetta e su altri importanti giornali italiani. Anche la cooperazione con diversi editori europei, ad esempio Boosey di Londra, mira ad ostacolare la pirateria musicale e a tutelare meglio il diritto d’autore. Nell’Italia risorgimentale, l’introduzione di regolamenti legali è di difficile attuazione, a causa della frammentazione politica della penisola in diversi Stati. Nei colloqui in merito a una convenzione multinazionale, che hanno luogo nell’Ufficio di Censura di Milano nel 1839 tra i rappresentanti dell’Austria e del Regno di Sardegna, Giovanni Ricordi è uno dei tre editori presenti. Nel 1840 viene varata una convenzione austro-sarda: la tutela del diritto d’autore stabilita in questo accordo comprende, oltre ai lavori teatrali, anche le trascrizioni e le riduzioni per pianoforte. La convenzione fatica tuttavia ad affermarsi. A livello politico, il grado di interesse è scarso: la diffusione della musica è prevalentemente in mano agli impresari, le copie e gli adattamenti vengono concordati tra i copisti e i teatri; la censura rivendica un diritto d’intervento per eventuali modifiche dei contenuti ma non è interessata a questioni di tipo giuridico.

Sia Tito I che suo figlio Giulio si impegnano a favore di una più ampia regolamentazione sul piano legale. Tito I partecipa al congresso internazionale per la regolamentazione del diritto d’autore, che si svolge a Bruxelles nel 1858; Giulio pubblica dei saggi sul tema, sottolineando le conseguenze che derivano dalla mancata tutela dei diritti degli autori: “… in una parola dovremmo assistere al più abbominevole strazio dell’arte che in un paese eminentemente artistico qual è l’Italia, non può essere voluto né dagli autori, né dal pubblico.” Con l’approvazione della legge Scialoja nel 1865 e con la Convenzione di Berna del 1886, si arriva infine alla regolamentazione dei diritti d’autore in Italia e in Europa, a conclusione di un processo portato avanti in maniera decisiva dai membri di Casa Ricordi.

Il colpo maestro di Tito I e Giulio è l’acquisizione nel 1888 dei fondi della Casa musicale di Francesco Lucca (l’editore delle opere di Wagner in Italia), che la vedova cede a Ricordi per un milione di lire, ponendo fine in tal modo a una pluriennale concorrenza. Essa riguardava anche la questione “Wagner e Verdi”: dal punto di vista editoriale, la Ricordi si era sempre mostrata critica nei confronti dell’opera wagneriana e Lucca ne aveva assunto pertanto la rappresentanza dei diritti in Italia. Dalla fusione delle due case nasce ora una società in accomandita, la “G. Ricordi & C.”, con un capitale sociale pari a 3 800 000 lire; ne sono soci Tito I e Giulio Ricordi, nonché alcuni esponenti della borghesia milanese: Erminio Bozzotti, Luigi Erba, Francesco Gnecchi, Giuseppe Pisa, Gustavo Strazza.