“[Nell’Archivio] vi sono contenute tutte le informazioni che permettono di ricostruire il processo creativo che portò a quelle partiture.”
Nell’Ottocento l’opera lirica è il genere dominante in Italia. Solo a cavallo tra i due secoli si profila un maggior interesse per la musica strumentale. L’Archivio rispecchia queste tendenze e offre ampie possibilità per la ricostruzione degli sviluppi intercorsi nell’estetica musicale. A partire dal 1912, anche qualche compositore italiano comincia a confrontarsi con le moderne teorie della musica atonale e della dodecafonia: si tratta di Luigi Dallapiccola e di Goffredo Petrassi. La generazione “dell’Ottanta”, cioè degli autori nati negli anni Ottanta del secolo precedente, la più numerosa in Casa Ricordi, è più conservatrice e tenta di coniugare le concezioni moderne con la tradizione: Franco Alfano, Alfredo Casella, Italo Montemezzi, Ildebrando Pizzetti, Gian Francesco Malipiero, Ottorino Respighi. Franco Alfano è noto agli appassionati d’opera come il compositore che portò a termine il terzo atto della Turandot, che Puccini aveva lasciato incompiuto. A quel tempo era egli stesso attivo come compositore operistico e godeva di grande popolarità. Anche lui, come Puccini, era affascinato dalle trame esotiche, ad esempio di provenienza indiana, come nella sua opera in tre atti intitolata La Leggenda di Sakùntala, che è rappresentata per la prima volta nel 1921 al Teatro Comunale di Bologna e, con diverse repliche a Napoli, Buenos Aires, alla Scala di Milano, a Düsseldorf e Anversa, è uno dei lavori di maggior successo di Alfano, di cui l’Archivio conserva una ricca documentazione. Anche l’approccio di Pizzetti alla Literaturoper, con la contestuale presa di distanze dal Verismo, costituisce un tentativo di rinnovamento del genere. Casella rappresenta piuttosto una linea ispirata al Neoclassicismo, il suo punto focale risiede nella musica da camera, mentre Respighi, a tutt’oggi il più famoso del gruppo, sviluppa soprattutto musica sinfonica con potenti orchestrazioni. Malipiero, infine, è un artista versatile e attivo su molti fronti, nell’ambito della musica cameristica, sinfonica e operistica. La sua lunga collaborazione con Casa Ricordi fin nel tardo dopoguerra, la sua posizione ambivalente durante il fascismo e i suoi sforzi a favore di nuove forme e idee d’espressione musicale, che non escludono giudizi taglienti su alcuni musicisti del suo tempo, sono documentati tra l’altro da una vasta raccolta epistolare.
Per quanto riguarda l’Italia, il periodo della musica colta moderna tra il 1910 e il 1930 può essere considerato una fase di prudente esplorazione delle possibilità di rinnovamento nell’ambito della tradizione. Per studi su questo tema l’Archivio Storico offre abbondante materiale: i cataloghi editoriali, singoli incartamenti epistolari, partiture autografe, la raccolta di libretti, fanno luce su un periodo nel quale diverse correnti artistiche procedono parallelamente, con differenti valutazioni e accenti. In base al materiale dell’Archivio, resta ancora da scrivere una storia della casa editrice anche per questi anni; esso documenta infatti le molteplici correnti che influiscono sui musicisti, e proprio attraverso la corrispondenza aziendale è possibile esplorare e ricostruire i legami tra le istituzioni e le persone anche in un contesto europeo. La storia dell’opera di Malipiero La favola del figlio cambiato (da Pirandello) è solo un esempio della connessione tra politica culturale ed evoluzione artistica. Dopo la prima rappresentazione al Landestheater di Braunschweig all’inizio del 1934, Mussolini ne impedì per motivi ideologici la prima italiana a Roma, un intervento che incise sullo sviluppo di forme modernistiche in Italia. Malipiero menziona l’ambigua questione in una lettera del 1946. Dall’Archivio si dipanano sempre nuovi percorsi di ricerca che riconducono poi all’Archivio stesso. Questioni connesse alla politica editoriale possono essere approfondite attraverso i documenti che sono qui custoditi. Qual è ad esempio il rapporto della casa editrice con il compositore d’avanguardia Ferruccio Busoni, che più volte si era invano proposto a Casa Ricordi e di cui l’Archivio possiede alcuni autografi?
In relazione a queste e ad altre questioni, forniscono un chiarimento decisivo l’esauriente raccolta di documenti contrattuali (indicati secondo un sistema di facile comprensione), la consistente corrispondenza aziendale, disponibile dal 1888 al 1962, e i già menzionati copialettere, che contengono le copie di tutta la corrispondenza in uscita ordinata secondo le annate. Per ogni anno commerciale ci sono i relativi volumi organizzati in ordine alfabetico. L’insieme della corrispondenza documenta la dinamica attività editoriale: il contatto con compositori, teatri, scenografi, costumisti, aziende di supporto tecnico (fabbricanti di colori, stoffe, carta, macchinari), stampa, istituzioni, enti pubblici, ecc. Lo studio attento di questa corrispondenza mostra anche come a partire dal tardo Ottocento l’opera lirica venga concepita come un’opera d’arte totale e un “prodotto” da commercializzare. Viaggiando attraverso i decenni è possibile ricostruire la corrispondenza con i singoli destinatari. Questa straordinaria documentazione, se esaminata attentamente, può rappresentare una miniera di informazioni sull’evoluzione dei contratti con gli autori, ma anche con i teatri lirici, sugli acquisti di nuovi impianti per la stampa, di colori e carta, sulle trattative in merito ai diritti sulle opere, sull’acquisizione in catalogo di nuovi autori, sui contatti con la stampa, le agenzie di concerti ed altro ancora. I contratti possono ad esempio estendersi anche alle condizioni di produzione dell’opera. Dalla corrispondenza di Verdi, ad esempio, sappiamo che questo aspetto riveste sempre maggiore importanza: quali cantanti vengono ingaggiati, quale orchestra, quali interpreti in quale ruolo, quale direttore d’orchestra e così via. Lo stesso vale per gli allestimenti scenici.
Nel dopoguerra la scena intellettuale italiana è contrassegnata da un euforico clima di rinnovamento generale. Gli anni dal 1943 al 1945 all’insegna della Resistenza, conducono a una forte politicizzazione, che perdura anche nel periodo successivo, e le tesi di Antonio Gramsci, uno dei fondatori del Partito Comunista italiano, sull’importante funzione pedagogica di cultura e arte per tutta la società, influenzano profondamente scrittori, pittori e musicisti. In questo senso, anche in campo musicale, la produzione artistica non è caratterizzata dal desiderio di una musica scevra di implicazioni politiche e puramente astratta, e si riallaccia senza remora a certe tradizioni: al lirico-cantabile in campo vocale; alle estetiche, coltivate nella musica moderna degli anni Venti e Trenta anche in Italia, della composizione politonale, atonale e anche dodecafonica; a forme della Literaturoper in ambito operistico. Il programma della Ricordi rappresenta tutte queste diverse tendenze. La diversificazione del panorama musicale, i cambiamenti sul piano sociale e, non da ultimo, la mutata struttura aziendale della casa editrice, fanno sì che, anche nell’ambito dell’Archivio, il quadro di questi anni non si presenti omogeneo come ai tempi di Verdi e Puccini. I singoli personaggi di grande spessore sono ormai scomparsi, e il settore dell’intrattenimento musicale deve di per sé fare i conti con la concorrenza dell’industria cinematografica e, in sempre maggior misura, con la televisione. Il divorzio di musica colta e musica leggera è definitivo, e il boom della musica popolare è senza precedenti. L’interesse del pubblico per la musica stampata sopravvive, specialmente per quanto riguarda le romanze tradizionali, le canzoni e gli estratti operistici, come testimoniano i cataloghi di questi anni.