Anche il figlio maggiore di Giulio, Tito II (1865–1933), è tradizionalmente coinvolto nell’attività editoriale fin da giovane, subito dopo la conclusione degli studi universitari nel 1889. Suo fratello Emanuele, detto Manolo, ha assunto dal 1910 la direzione delle Officine Grafiche. La collaborazione tra Giulio e Tito II non è tuttavia priva di contrasti. I tempi sono cambiati: dopo l’euforia nazionalistica, l’Europa è entrata in crisi, e sul banco di prova ci sono adesso anche molti aspetti che interessano il campo artistico. L’influenza del “nuovo mondo”, l’America con i suoi ideali e forme sociali, incide sempre più fortemente sull’arte e la vita in Europa. La stessa scena artistica europea si sta potentemente rinnovando. Giulio, in tutto e per tutto uomo dell’Ottocento e convinto fautore dell’italianità, fatica a mettersi al passo. Suo figlio Tito II, invece, si apre alle nuove forme e ai nuovi strumenti di comunicazione, fa molti viaggi, insiste sulla necessità di apportare delle innovazioni in seno all’azienda. Sotto la direzione di Manolo, le Officine acquistano un ruolo di spicco nella grafica pubblicitaria. Scrive Claudio Sartori nella sua monografia per il centocinquantesimo anniversario della casa editrice: “Scompare […] il tipo dell’editore-mecenate ottocentesco e il tipo dell’industriale che accentra in sé tutte le fila dell’azienda e che tutte le muove. Mutate erano le persone, mutati erano i tempi e la ditta si era così amplificata che una divisione di compiti si sarebbe comunque resa indispensabile”. La direzione della casa editrice rimane nelle mani di Giulio, ma tra padre e figlio si verificano forti tensioni, che nel febbraio 1907 sfociano in un’aperta rottura. Giulio è furioso per l’atteggiamento di Tito, che ai suoi occhi denota un’irresponsabile leggerezza sotto il profilo imprenditoriale, nonché una rischiosa superficialità dal punto di vista finanziario. Una lettera di Giulio a Tito documenta in maniera piuttosto melodrammatica la sua delusione per la condotta aziendale del figlio; e per esprimerla, si serve di un linguaggio enfatico che ricorda inevitabilmente lo stile dei libretti d’opera ottocenteschi.
È forse proprio a causa di questo dissidio che i meriti e le qualità di Tito II sono spesso dimenticati. Egli vive, infatti, in un’epoca in cui i cambiamenti a livello sociale e artistico non possono non ripercuotersi anche sulla conduzione di un’impresa come la Ricordi. Giulio aveva rilevato la ditta in espansione dopo il Risorgimento e ne aveva successivamente guidato la crescita costante, fino all’apice del successo. La scoperta e la commercializzazione di Giacomo Puccini, da lui seguito e sostenuto con cura paterna, è al contempo sintomo e causa di questa situazione di fondo. Anche come artista, Giulio è un uomo del XIX secolo: le sue composizioni pervenute fino a noi sono una vivace testimonianza di come egli assorbisse e traducesse brillantemente gli idiomi musicali che sentiva più vicini, quelli di Verdi, Schumann, Schubert e del tardo romanticismo francese. Dal canto suo, Tito II rappresenta la personalità in crisi tipica di un’epoca di transizione. Con lui fa il suo ingresso nella ditta “il nervosismo del nuovo secolo”. In Italia – soprattutto nel Settentrione – la società agraria è progressivamente sostituita da quella industriale; seguono poi mutamenti politici e sociali di carattere transnazionale – le prime ondate di emigrazione dall’Italia verso l’America del Nord e l’America latina, in conseguenza della crisi economica (una crisi che non era stata preceduta da una vera crescita dopo il Risorgimento), lo sgretolarsi delle tradizionali differenze di classe e ripartizioni dei ruoli tra i sessi, le innovazioni tecniche, tra cui l’ampliamento della rete ferroviaria e quindi la maggiore mobilità. Anche in ambito artistico si sviluppano nuove tendenze, concettualmente condensate in un “coraggio della soggettività” e, per quanto riguarda l’Italia, grosso modo riconducibili ai due poli: Arte e Psicanalisi (Pirandello / Svevo) versus Dannunzianesimo / Futurismo (D’Annunzio / Marinetti). Gli scritti di Sigmund Freud escono in traduzione italiana e influenzano il primo gruppo; il secondo insegue invece una poetica orientata alla tecnica e al progresso (anche con riferimento all’uomo).
E’ Giulio che resta troppo tenacemente attaccato al XIX secolo e ai principi della società borghese ispirata a un patriottismo liberale? O è Tito troppo figlio della propria epoca, nella misura in cui sperimenta su di sé la crisi e l’impotenza del soggetto moderno? O è invece colui che, identificandosi con i nuovi impulsi sociali ed artistici, inaugura anche nel proprio campo d’azione nuove strategie, o tenta perlomeno di aprire la strada a nuovi sviluppi?
Tito II nasce nel 1865, si laurea in ingegneria nel 1889, e da questo momento si dedica esclusivamente alla ditta paterna. Anche lui suona il piano, è intelligente e sensibile, e sa muoversi in società. Dopo la morte prematura della moglie, comincia a viaggiare: è spesso in Francia, in Germania, in Inghilterra e in America, dove raccoglie nuovi impulsi da applicare nell’ambito dell’editoria e delle imprese teatrali. Nel 1889 riferisce al padre Giulio di una rappresentazione londinese dei Maestri Cantori, mette in scena la Tosca di Puccini, si occupa della definizione dei diritti sulle opere di Wagner in Italia, trattando la questione con Breitkopf e Härtel di Lipsia, il che porterà all’apertura di una filiale di Casa Ricordi in questa città; all’interno dell’azienda si fa promotore dell’idea di una partecipazione di Ricordi all’emergente industria della riproduzione musicale. Introduce novità tecniche e artistiche come la litografia a colori. Seguendo l’esempio del padre, continua a occuparsi di Puccini: gli organizza il viaggio al festival di Bayreuth, lo sostiene moralmente dopo il fiasco di Madama Butterfly (1904) e lo accompagna a New York nel 1910 per la prima de La fanciulla del West. Al contempo accoglie in catalogo alcuni giovani compositori dell’epoca: Riccardo Zandonai, Franco Alfano, Italo Montemezzi. Come loro, anche Tito è attratto dalla poetica di D’Annunzio, si interessa vivacemente ai problemi della messinscena, più tardi funge anche da librettista per la Francesca da Rimini di Zandonai (1914) e La Nave di Montemezzi (1918).
La discussione su come la ditta dovesse reagire all’invenzione dei cilindri fonografici, dei dischi a 78 giri in gommalacca, del cinematografo, e alla comparsa di queste innovazioni nel mercato italiano, sembra esser stata il primo motivo di dissidio tra padre e figlio. Giulio, infatti, è restio a seguire nuove strategie imprenditoriali. La negligenza di Tito nel calcolo dei costi e, in ultima analisi, dei profitti, rappresenta per Giulio una fonte costante di irritazione. Baia Curioni suppone che Giulio fosse interessato principalmente alla continuità della ditta e al suo tradizionale impegno a favore del patrimonio musicale italiano, senza riconoscere che questo obiettivo poteva essere perseguito sfruttando appunto le novità tecnologiche. In seguito alla lite con Tito, nel febbraio del 1907 Giulio gli nega l’accesso al conto aziendale e lo assoggetta a un rigido controllo delle spese come, ad esempio, quelle di viaggio. Dopo la summenzionata lettera del 5 luglio 1907, in cui Giulio dà libero sfogo alla propria amarezza, Tito II si ritira dalla ditta fino alla morte del padre. “[…] del figlio Tito non si parla più”, e in questo modo anche le discussioni sulle innovazioni tecnologiche in campo musicale vengono per il momento accantonate.
Dopo la morte di Giulio Ricordi il 6 giugno 1912 (un evento che scosse il mondo della musica al punto che il New York Times dedicò un’intera colonna al suo necrologio), è dovere di Tito II assumere la direzione di Casa Ricordi, e il difficile compito di guidarla attraverso la crisi scatenata dalla prima guerra mondiale. L’euforia suscitata dai nuovi indirizzi che la casa editrice aveva imboccato sotto il profilo tecnologico e artistico, si spegne. Tito progetta ad esempio di entrare nell’industria cinematografica, ma lo scoppio della guerra e forse le sue stesse debolezze come imprenditore, gli impediscono di raggiungere risultati concreti. Nel 1919 si dimette dalla direzione della casa editrice a causa di nuove imprecisioni finanziarie che preoccupano il consiglio di vigilanza. A 111 anni dalla fondazione si spezza così il filo dell’ininterrotta gestione della ditta da parte della famiglia Ricordi.
Diversi fattori, che solo indirettamente hanno a che fare con questi problemi familiari, concorrono nel primo decennio del XX secolo a indebolire la posizione della casa editrice. In primo luogo le circostanze esterne: la crisi politica ed economica, la guerra. Anche il crescente successo della casa editrice Sonzogno, la concorrente fondata nel 1874, minaccia il primato di Casa Ricordi. Sonzogno pubblica nel 1890 la Cavalleria rusticana di Mascagni e nel 1892 i Pagliacci di Leoncavallo, promuovendo in seguito il verismo nell’opera italiana, rendendolo popolare. Ricordi dal canto suo miete successi con Puccini, anche a livello internazionale, ma la sua musica, al contempo tradizionale e audace, trova una temibile concorrenza nello squillante modernismo delle opere veriste, improntate a un folcloristico colorito locale. Giulio risponde con una maggiore concentrazione sul patrimonio musicale tradizionale; Tito II è invece propenso a porre nuovi accenti sulle giovani leve, andando alla ricerca di voci nuove nel panorama artistico contemporaneo: l’avanguardia musicale, che comincia a imporsi con la seconda scuola di Vienna (Schönberg, Webern, Berg), il movimento futurista (nel febbraio del 1909 appare il primo Manifesto del Futurismo di F. T. Marinetti su Le Figaro di Parigi), che investiva anche la musica, la generazione “dell’Ottanta” orientata in senso classicistico: Alfano, Casella, Malipiero, Pizzetti, Respighi – il mondo della musica comincia a diversificarsi, e le scelte editoriali di Ricordi non sono più così nettamente definite e ponderate come ai tempi di Giulio. Nell’Archivio Storico Ricordi sono custoditi i documenti, opere, libretti, corrispondenza, foto, che illustrano questi anni di mutamento e gettano una luce ambivalente sulla figura di Tito II e sul rapporto di Casa Ricordi con gli ambienti internazionali della musica.
Lo sviluppo di un ramo della società dedicato alla grafica pubblicitaria, le Officine Grafiche, è un ulteriore elemento che distingue la casa editrice per la sua originalità. La realizzazione creativa delle copertine era uno dei punti cari a Giulio: a seconda del tema dell’opera, vengono realizzati per le partiture e i libretti illustrazioni e decorazioni, giocando anche virtuosamente con il celebre logo dei tre cerchi. Per alcune opere viene sviluppata un tema grafico particolare, utilizzato poi nelle relative edizioni a stampa. E’ così che, all’inizio del secolo, prende il via un nuovo e promettente campo di attività, sulla scia del movimento dell’Art Noveau che fiorisce anche in Italia sotto il nome di Liberty. Anche in un’ottica più generale, la produzione grafica di Ricordi ha un grande impatto. Le Officine Grafiche, fondate nel 1884, diventano nel corso del tempo una delle maggiori aziende di settore a livello europeo: le edizioni musicali a stampa con partiture, trascrizioni per pianoforte ed edizioni popolari, costituiscono la parte più consistente della produzione, ma accanto ad essa si sviluppa anche un’autonoma grafica d’arte: vengono realizzati i manifesti non solo per le rappresentazioni operistiche, ma anche per conto di ditte come la Campari, giornali come il Corriere della Sera, in seguito per film come Cabiria. Nascono così alcuni manifesti pubblicitari oggi considerati mitici, come quelli realizzati per Bitter Campari e Birra Poretti, divenuti poi delle vere e proprie icone. Il reparto grafico della Ricordi è attivo anche nel campo delle cartoline postali. Anche sotto questo aspetto l’Archivio Storico Ricordi vanta un’importante raccolta. Alla squadra degli illustratori appartengono artisti di fama come Adolf Hohenstein, Leopoldo Metlicovitz e Marcello Dudovich, che oggi vengono considerati i padri della moderna cartellonistica pubblicitaria italiana.